Field of dreams

15 Ottobre 2009
FIELD OF DREAMS

Fonte L’Undici.

Storia del braccio che sta facendo sognare il baseball italiano e che ha portato un ragazzo di Viserba dal campetto sotto casa al professionismo americano. E le sue risposte alle nostre undici domande.

Non so se è capitato anche a voi. Ho giocato in serie A col Milan, ho segnato al San Paolo in una rocambolesca vittoria per 3-2. Ho giocato in A1 a basket, con la Marr Rimini, poche partite, ma sempre con qualche importante canestro. Ho giocato nella Italian Baseball League con i campioni del Rimini, molte partite, spesso sono stato decisivo. Non è rilevante per la storia che sto per raccontare, ma ho anche avuto una marea di appassionanti relazioni sessuali con donne bellissime, alcune complete sconosciute, ma anche star del cinema e gran parte delle mie compagne di scuola, di università, colleghe di lavoro e vicine di casa.
E’ vero, è accaduto solo in sogno, e mi sono sempre svegliato con quella strana sensazione tra delusione e soddisfazione. Però, e mi dispiace dirlo, non ho mai sognato di giocare a baseball nelle leghe maggiori americane, in stadi gremiti, di fronte alle telecamere, con statistiche che monitorassero i battiti delle mie sopracciglia, il numero di rotazioni dei miei lanci o quante volte ho lanciato una palla alta con due ball e due strike e un battitore mancino messicano nel box. O meglio, l’ho solo sognato a occhi aperti.
La storia che racconto oggi,  però, è un fatto. E’ la storia di Alessandro Maestri, Ale per gli amici italiani, Alex per il mondo americano che lo sta lanciando nell’olimpo del baseball mondiale. Un “x-factor” di differenza che lui dimentica spesso e volentieri, quando torna in Romagna per mangiare tagliatelle e piada con i vecchi compagni di squadra e si lascia prendere amabilmente per il culo o, perché no, scende in campo per una partitella con loro, che al massimo hanno visto una serie A2 italiana, ma spesso e volentieri non sono andati oltre un’amatoriale serie B.

Una storia vera

Alex Maestri, “pitcher” da Viserba di Rimini, è nato baseballisticamente nei Torre Pedrera Falcons, neanche come lanciatore. Lì è rimasto per tanti anni, e piano piano la sua pallina ha cominciato ad andare veloce veloce. Da noi si usa poco la “pistola” per misurare la velocità di lancio, ma non era difficile capire che per la serie B, “AleMae” era un’arma illegale. Lo capì per esempio un povero avversario pesarese, che si ritrovò in ortopedia dopo aver assaggiato un lancio un po’ interno del fenomeno in erba. E così, nell’anno in cui i Falcons sfiorarono una incredibile promozione in A2, perdendo gara5 nella serie finale al meglio delle 5 partite, i “grandi” del baseball italiano si accorsero che stava accadendo qualcosa di straordinario. I più veloci furono quelli di San Marino, mentre la pluriscudettata Rimini pagò un po’ di “puzza sotto il naso” per i giovani emergenti e si lasciò sfuggire l’affare del secolo. Anche a San Marino successero miracoli. Alex si ritagliò prepotentemente uno spazio sempre più ampio sul monte (Titano), San Marino raggiunse la prima finale scudetto della sua storia, e perse gara7 in una finale al meglio delle 7 partite. Alex lanciò in 3 partite di quella finale, con risultati egregi. In due anni, due finali perse in extremis, certo non per colpa sua. Ma il destino stava solo preparando soddisfazioni più grandi.
La provincialissima Federazione Italiana Baseball & Softball, in fin dei conti un piccolo circolo di appassionati che ogni tanto si gode vetrine internazionali, a quei tempi stava attraversando un particolare periodo di megalomania, con trattative per coinvolgere la Major League Baseball nella Spaghetti League. La MLB, multinazionale plurimilardaria, non disdegnò un piccolo investimento in un potenziale mercato in cui vendere cappellini, giubbotti e gadget vari e acconsentì ad aprire la cosiddetta “Accademia” FIBS, dove i giovani più dotati si uniscono a quelli più raccomandati per entrare in una vita di baseball full-time sotto la supervisione di qualificatissimi tecnici nostrani e d’oltreoceano. Ovviamente, già che c’era, la MLB ha buttato un occhio a quella fucina di talenti e AleMae non è passato inosservato. Non solo per la sua velocità o il suo fisico da lanciatore, ma sicuramente (immaginiamo) anche per la sua dote fisica più importante, che sta un po’ più sopra della spalla e del collo, la cosiddetta “testa”. Ale ha la mentalità dell’atleta. E’ umile, lavora duramente, ma è anche convinto dei propri mezzi, caparbio e sereno.

E così arriva la firma con i Chicago Cubs. Nel “farm system” americano, il contratto è sempre con uno dei grandi team delle leghe maggiori, che poi hanno squadre affiliate in tutte le divisioni minori. Provare non costa nulla e per poche migliaia di dollari Alex viene catapultato in Arizona, nella lega professionale più bassa dopo la Rookie League per i ragazzini, il “singolo A short-season”. Camera divisa con un’altra promessa, probabilmente un portoricano o un venezuelano. Un italiano nelle leghe professionali è più una curiosità buffa che altro. Le prime interviste sui siti locali raccontano della pasta cucinata per i compagni di squadra (ma sarà vero?), del suo background che lascia presagire un’infanzia tipo Sicilia anni ‘30 (ma lo sanno gli americani che Miami a Viserba gli fa una “saw”?) e il fatto che il fratello maggiore ha lasciato il baseball per dedicarsi ad attività più proficue, il surf e le ragazze.
Intanto però, l’operazione marketing della Major League con la collaborazione della FIBS continua. Nasce il World Baseball Classic, un ipotetico campionato del mondo di baseball per nazioni in cui la maggioranza dei giocatori sono americani con nonni dalle origini straniere. Tipo quando nella partita di calcetto ci si divide tra pelati e ciccioni per fare le squadre. L’Italia partecipa, in Nazionale pochissimi parlano l’Italiano, molti non sono nemmeno mai stati in Italia. AleMae è ovviamente del gruppo, sia perché da italiano se lo merita ampiamente, sia perché è comunque nel giro USA e un po’ di pubblicità non guasta. Un doppio lasciapassare. E forse – lo immaginiamo noi – si rende conto per la prima volta di cosa sta vivendo. Lo mettono sul monte davanti a 10.000 spettatori, gli danno la pallina. Il cuore batte, ma in fondo deve fare quello che fa tutti i giorni. Tirarla circa 18 metri più avanti, più forte che può, nel posto indicatogli da un tipo bardato di maschera e schinieri. Non capita tutti i giorni di farlo davanti a 20.000 occhi, non capita tutti i giorni di lanciare a Moses Alou (17 stagioni in Major, 6 All Star Game, 332 fuoricampo). per fortuna non capita tutti i giorni che al primo lancio la palla torni in dietro ancora più forte, sorvoli con una certa rapidità diamante e prato esterno e vada a depositarsi nelle tribune. Insomma, una bella sveglia. AleMae si ritrova lì, e forse molti nello stadio cominciano a pensare che davvero è solo folklore, che quel ragazzino con la casacca grigio-azzurra forse sta facendo qualcosa di troppo grande per lui, che dovrebbero portarlo via di lì prima che si faccia male.
Però, dicevamo, AleMae non è uno come tutti gli altri. E’ un campione e i campioni, come dice De Gregori, non si giudicano da questi particolari. Alou, di fuoricampi chilometrici, ne ha battuti a lanciatori che hanno fatto la storia del baseball USA. E così AleMae torna su quella pedana, deciso a godersi ogni momento di quell’incredibile partita. Si diverte. AleMae è davanti a 10mila spettatori diffidenti, si è appena preso una bordata da ribaltarsi, ma è lì ed è contento. “Svuota la testa” (non sappiamo se respiri con le palpebre), e si rimette a fare il suo lavoro.

I numeri USA

Nel 2006 Maestri esordisce in Singolo A Short-Season a Boise, Idaho. Lancia 22 partite e chiude con 4 vinte e 3 perse, 3.80 di media pgl. Stagione onesta, ma tra le folle di pitcher americani niente di più, se non fosse per un potenziale di crescita che tutti gli riconoscono. Nel 2007, infatti, a Peoria (Texas), Singolo A, chiude con 6 vittorie, 3 sconfitte, con una media di 2.26, ma soprattutto si ritaglia un ruolo da “closer” e colleziona 12 salvezze, con una media pgl di 0.93 in questo ruolo. La super-stagione gli vale anche la convocazione nella All Star di lega. Il 2007 è anche l’anno dei Mondiali a Taiwan e Maestri non manca un altro appuntamento con la storia. L’Italia batte per la prima volta la nazionale professionistica USA (era successo solo due volte con i dilettanti, in precedenza) e Alex è l’autore dell’ultimo lancio che chiude la partita, con le basi piene e il punteggio di 6-2 (vedi foto). Gli USA diventeranno poi Campioni del Mondo, un’unica sconfitta contro l’Italia.
La promozione è ovvia e nel 2008 Alex sbarca a Daytona, Singolo A Advanced, torna nel ruolo di partente e risponde alla grande: 5 vinte e 3 perse, una media di 3.69 che è eccellente per un partente. E così, dopo un’altra All Star Game, arriva la chiamata in Doppio A a Knoxville, Tennesse, primo giocatore italiano (ma alcuni emigrati di altri tempi lo contestano, quindi diciamo “di scuola italiana”) a calcare un diamante di questa divisione. Impatto duretto, due partite da partente e 14 valide in 11 inning, fanno capire che l’aria è diversa. Ma il punto più alto Maestri lo tocca in pre-season l’anno successivo. Il 1 aprile 2009 viene convocato dai Cubs di Major League per una delle amichevoli ufficiali. Si gioca contro gli Oakland Athletics. Alex comincia con Orlando Cabrera (13 stagioni in Major, 114 fuoricampo) e lo lascia al piatto. Segue un “certo” Jason Giambi (1952 partite e 409 fuoricampo in Major) e arriva la valida tra la prima e la seconda base. Tocca a Matt Holiday (152 fuoricampo in 854 partite di Major) e anche lui finisce strikeout senza girare la mazza. “Dulcis in fundo”, Eric Chavez (229 homer in 1287 partite). Si arriva al conto pieno, ma anche in questo caso l’ultimo lancio è vincente, strikeout. In un quarto d’ora indimenticabile, Maestri ha affrontato una potenza di 904 fuoricampo e ne è uscito con un modesto singolo da Giambi e tre strikeout. La stagione continua in Doppio A, con molti alti e qualche basso, ma alla fine le statistiche sono buonissime: ancora 3.69 come nel 2008, 4 vittorie, 2 sconfitte e 3 salvezze. C’è anche una parentesi curiosa, il 27 luglio viene chiamato in Triplo A dagli Iowa Cubs, la notizia è bomba, sarebbe un altro record e il penultimo gradino verso le Majors. Alex prende l’aereo, vola dal Tennessee allo Iowa, ma nel giro di tre giorni, senza prendere la pallina in mano, viene rispedito indietro, perché al posto suo bisogna infilare nel roster un ex Major Leaguer in riabilitazione. Ultima curiosità, la sede dei Tennessee Smokies, la sua squadra, è a Kodak, indirizzo “Line Drive”. Bel posto per un lanciatore.